Rifrazioni del sublime
«Sublime. Termine designante un tipo di esperienza estetica – fatta oggetto di ampia discussione – che è distinta da quella di bello. Nell’estetica contemporanea ogni riferimento al sublime è da tempo caduto in disuso. Già Benedetto Croce negava a questo concetto una genuina valenza estetica, ravvisando in esso un esclusivo riferimento morale; ma neppure in questa sede la filosofia del nostro secolo ha ritenuto opportuno riservare al sublime sviluppi concettuali nuovi o fecondi»
(Enciclopedia Garzanti di Filosofia)
«Rifrazione. Deviazione dei raggi luminosi, rispetto alla direzione originaria, che si verifica sulla superficie di separazione di due mezzi otticamente diversi quando i raggi passano dal primo al secondo mezzo» (Enciclopedia Europea Garzanti)
1. Sul crinale dell’ombra: considerazioni inattuali
L’esercizio della ricerca può insegnarci a evitare equivoci, non a fare scoperte fondamentali. Ci rivela le nostre impossibilità, i nostri limiti severi. Questa mia possibile ricostruzione teorica con variazioni sul tema del sublime può essere attribuita ad un genere: la storia concettuale di figure (o momenti) dell’esperienza estetica e letteraria. Si tratta di un tentativo che ha bisogno di un terreno assai fertile di coltura per avere qualche possibilità di successo dato che l’espressione prima utilizzata può essere considerata quasi un ossimoro: il concetto si forma attraverso astrazioni, la letteratura (la poesia, soprattutto) mediante le sue immagini, i suoi sogni, i suoi miti fondativi.
La ricerca prova a convogliare e a far confluire, in un unico alveo, diversi e maestosi fiumi. Il maestro di questo genere filosofico-letterario è stato, in anni ancora non troppo lontani, Eugenio Garin. In quello saggistico, non temo di fare i nomi di Jorge Luis Borges, Paul Valéry e Miguel de Unamuno. Modelli forse irraggiungibili, naturalmente, ma pur sempre modelli di un tentativo di portare i concetti e la vita fino a un limite estremo di tensione. Le pagine che seguiranno tentano di percorrere una via intermedia che non è ancora la “via regia” della filosofia ma non vuole neppure rivolgersi soltanto al puro sensazionalismo della scrittura, al vuoto ricercare a vuoto l’effetto della parola bella perché vuota di senso e non riempibile se non di effimere alchimie verbali…
Monteverde
Il protagonista del libro, Guido Orsini – alter ego dell’autore – è un giovane laureato che vive nel quartiere romano di Monteverde, ama la letteratura e deve fare i conti con una società in cui stenta a integrarsi; in cui non si riconosce. Vorrebbe vivere di libri, Guido. Campare di letteratura. Ma non si può. Ed eccolo, allora, alla ricerca di un lavoro. Fa l’arbitro, il giornalista-magazziniere, l’inseritore notturno, il tirocinante, l’addetto allo sportello. Lavori che non coincidono con la sua vera essenza, la sua vera natura (che si evince già dall’incipit del libro): “Sono una foglia che pesa ottanta chili. Sogno refoli di vento. Sono una batteria che si sta ricaricando. Voglio ricaricare in pace, senza sbalzi di corrente. Sono un navigatore senza programma, non so orientarmi con le stelle. Sono lo stipite stanco di una vecchia porta. Sono un contratto firmato in bianco, sono una lettera senza mittente. Sono una tela d’acqua su una cornice di carta, un telecomando che non spegne niente; se mi punto sul cielo m’accendo, funziono. Sono un orologio che batte secondi sulle tempie della sua cassa. Sono un pallone bucato. Sono una sigaretta che non si spegne, fuma soltanto. Sono queste mani che dovresti mutilare”.
Under control
Siamo ormai tutti schiacciati dalla legge del profitto e della massificazione, dell’ovvio, dell’inutile e dell’indifferenza, per questo sarà difficile vedere il film su Ian Curtis e la sua band. Mauro Baldrati ci fa riflettere su questa mia frase finale e ci parla del film. Per chiunque crede di essere fuori della massa e di avere un proprio libero pensiero un invito a leggere la recensione e soprattutto a cercare e vedere il film.
La nebbia dentro
La morte separa, la morte riunisce.
Attilio e Pietro sono due fratelli che hanno seguito percorsi di vita differenti. L’uno – Attilio – ha intrapreso con un certo successo la carriera politica; l’altro – Pietro – ha deciso di rimanere nel proprio luogo d’origine, in Val di Susa, a fare il maestro elementare e dare seguito alla grande passione per i libri e la letteratura. Due caratteri diversi. Due persone diverse, accomunate – oltre che dal legame di sangue e dai ricordi infantili e adolescenziali – dall’amore provato per la stessa donna, Cristina, ex fidanzata di Pietro e, oggi, moglie di Attilio.
Marino Magliani #3
Marino Magliani: “Quella notte a Dolcedo“, Longanesi, 2008
Magliani è uno scrittore a cui sono molto affezionato. Affacciatosi timidamente sulla scena letteraria, va a poco a poco affermando una personalità già matura e coinvolgente. Vive in Olanda da molti anni, da cui si allontana per tornare a far visita alla sua terra di origine, la Liguria.
Il romanzo è ambientato alla fine del Novecento con forti riferimenti all’ultima guerra mondiale.
continua l’operazioni Marino Magliani QUI
Notti attiche e orologi a cucù
Ho letto le “Notti attiche” di Aulo Gellio e mi è tornata in mente la battuta di Orson Welles nel film “Il terzo uomo”. L’Italia del rinascimento era tutta guerre, congiure, sommosse, e ha prodotto Leonardo, Raffaello, Michelangelo. La Svizzera non fa una guerra da cinquecento anni e che cosa ha prodotto? L’orologio a cucù!
Una recensione di Valter Binaghi
A cura di Roberto Rossi Testa e Gianni De Martino
Recensito da Valter Binaghi
C’è un percorso esoterico nella nostra cultura che, per quanto oggi sembri trascurato, resta una delle vene sotterranee che ne sostengono la pienezza vitale, senza di che una cultura diviene puro archivio di significanti pastorizzati e di stereotipi nell’agire.
Sto parlando dell’erotica mistica, uno dei momenti in cui la carne appare una promessa pienamente realizzata, e l’istinto dà il suo fiore lungamente atteso nello Spirito
Hitler
Recensione di Valter Binaghi
Pubblicata in forma ridotta sul Corriere Nazionale del 24-2-2008
Da un po’ ci si rende conto che il romanzo italiano è un oggetto mutante, e soprattutto che le categorie di genere che la critica tradizionale ha a disposizione sono consunte.
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